La mia seconda occasione a Philip Roth. Pastorale americana.

Mi ritrovo dopo cinque anni a parlare nuovamente di Philip Roth, questa volta in modo positivo. Mi approcciai a Roth scovando in biblioteca La macchia umana, piena di aspettative per un titolo che consideravo incredibile. Sarà stata l’età, sarà stata la mia immaturità come lettrice, sta di fatto che non riuscii ad apprezzarlo e lo abbandonai dopo circa cinquanta pagine. Sono qui adesso invece perché devo ASSOLUTAMENTE consigliarvi uno dei libri più rappresentativi dell’America, non a caso si chiama Pastorale americana. Dovrebbe essere qualcosa di simbolico, in un certo senso anche convenzionale, dipende però dal modo in cui lo si guarda.


Attraverso la ricerca di Nathan Zuckerman, uno pseudonimo che Roth usa spesso, percorriamo i passi del “vincente” Seymour Levov, chiamato Lo Svedese, una stella promettente nel mondo atletico. “Lo Svedesone” ha la vita programmata: è popolare, benestante, ogni pedina della sua vita è già sistemata, pronta a fare quello che lui desidera. La sua famiglia ebrea è una delle più importanti, conosciuta per la produzione di guanti in pelle. Seppure così portato nello sport, Seymour finisce a lavorare nell’azienda di famiglia, sposa una bellissima donna proclamata Miss New Jersey, concepisce una figlia in cui ripone tutte le sue speranze. Dovrebbe essere una normale famiglia americana, ma no, è proprio l’America. Ambientato all’epoca della guerra del Vietnam, Pastorale americana è l’emblema della decadenza: è la vita sconvolta da un uragano, dopo averla programmata passo per passo. Non è la storia di una guerra. Non è la storia di una figlia incompresa, influenzata, dirottata. Non è la storia di una ex Miss New Jersie etichettata per la sue bellezza e la sua mancanza di aspettative nella vita. È l’America privata del suo velo di perfezione. 

La caratterizzazione dei personaggi, in questo romanzo, è a dir poco eccezionale. Io ci provo a descrivere i miei preferiti, ma sminuirò sicuramente l’operato di Roth. Down, moglie dello Svedese, è una donna bellissima; ha partecipato a Miss New Jersie solo per poter vincere il premio in denaro in modo da poter alleggerire il peso di suo padre, ma l’etichetta della bellezza senza sostanza rimarrà sempre come una luce al neon sul suo volto.
Merry è sua figlia, dolce, piccola e balbuziente. Quanti anni passati per farla stare meglio, per comprendere il suo problema e risolverlo, ma Merry è coinvolta nella guerra, quella che hanno portato nel suo paese e che lei ha portato nella sua casa.

Tua figlia è il terremoto che non avevi programmato, quello che maledici e che ti fa pensare a cosa hai sbagliato nella vita, quello che ti fa pensare “perché a me”. Il lifting è quella cosa che fai per tirarti su, per stare meglio, per cancellare le sofferenze dal volto. L’amore è quella cosa che ricerchi, che ti fa combattere, ma da cui rifuggi per andare in lidi sconosciuti. E passo dopo passo ti accorgi che tutte le pedine che avevi predisposto sono cadute, sono andate a fuoco, hanno ribaltato il gioco.

A letto, di notte, vedeva tutta la sua vita come una bocca balbuziente e una faccia contorta: una vita senza scopo, senza senso e completamente sbagliata. Non aveva più la stessa nozione di ordine. Non c’era nessun ordine. Nessuno. Lo Svedese vedeva la sua vita come il pensiero di un balbuziente: totalmente sfuggita a ogni controllo.

Non ammazzatemi, io ci ho provato. In questo libro Philip Roth analizza la vita e l’America, due cose che in un singolo articolo non possono proprio starci. Ma ci tenevo a parlarvene, ci tenevo a consigliarvelo. Non credevo mi prendesse così tanto, ci sono andata piano per la delusione precedente e per l’ambientazione della guerra che (fortunatamente per i miei gusti) è trattata solo sullo sfondo. L’ho divorato in pochi giorni e rimarrà come un quadro dell’America impresso nella mia mente. Cinque stelle.